Spiaggiati in un nuovo mondo - Singola | Storie di scenari e orizzonti
Un frame del videogame "Death Stranding"
Un frame del videogame "Death Stranding"

Spiaggiati in un nuovo mondo

Internet come promessa di conoscenza ha introdotto problemi e dilemmi, dai complotti alle questioni ambientali legate al suo hardware. Quando ci raffiguriamo il futuro, può venirci in aiuto la lettura in chiave speculative fiction di Death Stranding, il profetico game di Hideo Kojima.

Un frame del videogame "Death Stranding"
Pauldavid Ligorio

studia filosofia all'università di Torino, è ideatore e caporedattore di Cicles Magazine, un progetto di blogging collaborativo nato nel 2020.

Imparare quali domande non hanno risposta, e non rispondere ad esse; questa qualità è la più necessaria in tempi di tensione e oscurità. (Ursula K. Le Guin, La mano sinistra delle tenebre)

Avevamo tutti gli strumenti per prevedere l'entrata in scena di un'epoca così complessa? I frammenti di mondo che riusciamo a scorgere dalle finestre digitali sono nulla in confronto alla vastità degli eventi che accadono, delle persone che lo popolano e delle cose meravigliose, ma anche terribili che non vediamo. Effettivamente, per chi è nato nei primi anni ’90 e ha vissuto la transizione dal mondo analogico a quello virtuale, la promessa di finestre (Windows), attraverso cui poter curiosare cosa c’è all’esterno, è sempre stata allettante.

Ma quanto si può davvero guardare oltre? Benché fin dall’infanzia molti di noi siano stati abituati a cimentarsi con un pc, chi mai si sarebbe immaginato che da strumento per ricerca o svago, i sistemi informatici sarebbero diventati le interfacce principali che sorreggono ogni aspetto e dimensione delle nostre vite? A tal punto che le nostre identità si sono scisse: una si aggira ancora tra le macerie di un mondo consumato fino all’osso, l’altra schizza da una parte all’altra del globo, attraverso infrastrutture di rete Internet, cablaggi e server, e accede alla dimensione quantistica della realtà, dove è l’indeterminatezza ciò che più ci rappresenta.


Grandi speranze

È ciò che sostiene il presidente armeno Armen Sarkissian in un articolo pubblicato sul Financial Times. Introducendo il concetto di quantum politics, egli afferma che “è semplicemente un nuovo modo di capire come la politica è cambiata rispetto a quei giorni in cui la tecnologia e le connessioni non erano ancora così integrate nel mondo”. Parlando di coronavirus, egli afferma che il mondo non potrà più tornare alla sua condizione precedente, e che sono in corso dei cambiamenti radicali sul fronte tecnologico, destinato ad accelerare la sua corsa ogni giorno sempre di più; inoltre egli sostiene che “se iniziassimo a pensare questo mondo come un mondo quantistico, potremmo trovare la logica dietro certi eventi ed essere in grado di predirli con sufficiente probabilità”. Ma di quale nuova logica stiamo parlando? Forse per saperlo si dovrà attendere l’uscita del libro che Armen Sarkissian sta scrivendo insieme a suo figlio Hayk, ovvero A Quantum World, del quale purtroppo non si hanno ancora notizie certe.

Ciò che è certo è che questa nuova logica potrebbe forse aiutare a capire l’intimo rapporto che abbiamo con i sistemi informatici e le nuove reti sociali e, in qualche modo, offrire un nuovo approccio per affrontare la complessità crescente della realtà che, su tutti i livelli, appare ormai incomprensibile. Non è un caso se il concetto di quantum politics di Sarkissian appare anche in un altro testo da tenere bene a mente, se non si vuole entrare nella nuova era post-virus senza i giusti strumenti. Si tratta del testo redatto da Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum, intitolato COVID-19: The Great Reset, nel quale l’autore cita il concetto del presidente armeno trattando proprio la questione della complessità.

Chi voglia essere pronto ad affrontare la nuova normalità dopo l’emergenza covid-19 dovrà ben capire come il mondo è diventato interconnesso, veloce e complesso. Per esempio, di come i nostri pregiudizi e le disparità sociali influenzino il modo in cui progettiamo tecnologie pericolose ed escludenti, oppure come il cambiamento climatico potrà essere strettamente connesso con il collasso delle democrazie. Insomma, quello che il Great Reset ci pone di fronte sembra essere l’amaro conto da pagare per tutto ciò che non funziona nel modo in cui abbiamo affrontato i problemi fino ad oggi, oltre all’esigenza di iniziare a comprendere come ogni azione abbia una connessione, dunque una conseguenza sulla realtà che ci ospita. Complessità significa innanzitutto contraddizioni.

Il presidente armeno Armen Sarkissian.

Il presidente armeno Armen Sarkissian. | Richter Frank-Jurgen / Flickr
 


Mondo dark

Il tema della complessità si aggira ormai da alcuni anni tra le pagine redatte dagli addetti ai lavori e dai pensatori più acuti. Tra questi, particolarmente brillante il contributo del sociologo James Bridle. Il suo libro Nuova era oscura (Nero Editions, 2019) parte da un presupposto semplice quanto illuminante: la disponibilità e facilità con cui Internet ci ha abituati a reperire informazioni, anziché renderci più risoluti e consapevoli della realtà che ci circonda, paradossalmente, ci ha resi più ignoranti che mai, disposti a credere in cose di cui non possiamo avere nessuna certezza.

In un capitolo dedicato alle teorie del complotto, l’autore afferma che “di fronte a una torbida marea di informazioni, tentiamo di mantenere il controllo sul mondo raccontando storie: proviamo insomma a governarlo tramite delle narrazioni”, in altri termini: all’aumentare della complessità, aumenta anche lo sforzo per contenerla. Mette anche in luce l’aspetto paradossale del fenomeno quando afferma che “la mancata comprensione di un mondo tanto complesso porta al bisogno di quantità sempre maggiori di informazioni, che a loro volta non fanno che annebbiare la nostra comprensione rivelando ulteriore complessità”. Tra le storie che circolano in rete, nessuna riesce ad essere più complicata, ramificata e contraddittoria quanto quelle sul complotto.

La frammentazione dei saperi e l’aumento di complessità nei diversi campi di ricerca scientifica hanno prodotto grandi benefici, ma anche risultati talmente tecnici e specialistici da risultare spesso inaccessibili, o addirittura incomprensibili, senza un grande sforzo mentale e un costo in termini di tempo. Bridle ricostruisce in breve le dinamiche che hanno generato la credenza nelle cosiddette scie chimiche, ovvero “il primo esempio di folklore di massa della rete”.

A seguito del rilascio da parte dell'Aeronautica militare del documento Il clima come moltiplicatore di forze: dominare il clima nel 2025, nel quale vengono proposte nuove tecniche di controllo dei campi di battaglia, cominciarono a diffondersi storie su un ipotetico tentativo di dominazione planetaria basato sul controllo climatico. Le scie chimiche, in sostanza, secondo i sostenitori di tali teorie, sarebbero il veicolo di spargimento di gas responsabili del cambiamento climatico, dell’aumento di tumori e di malattie immaginarie come la sindrome di Morgellons. Ma sarebbero anche un modo di controllare le menti per assoggettare le popolazioni al volere di poteri occulti.

Eppure, le teorie del complotto legate al riscaldamento globale, per quanto ci raccontino delle assurdità, mettono in rilievo il fatto che il problema esiste ed è più reale che mai. Sempre secondo Bridle, “molte teorie del complotto potrebbero insomma essere interpretate come una forma di conoscenza popolare: un presagio inconscio dello stato delle cose partorito da qualcuno con una consapevolezza profonda e persino occulta dello stato attuale, ma che non ha gli strumenti per articolarlo in termini accettabili da un punto di vista scientifico”. La paranoia del complotto sembrerebbe dunque inevitabile e il rischio peggiore è che persone ormai completamente bloccate in posizioni ideologiche estreme, per quanto inconsciamente mettano in luce problematiche di vitale importanza, siano improduttive e dannose per un dibattito pubblico su tematiche che riguardano tutti indistintamente. Tra le zone grigie prodotte dalle tecnologie di rete, come le black pool finanziarie e gli algoritmi di Youtube che suggeriscono contenuti violenti agli spettatori-bambini, Bridle porta alla luce il discorso sulla fragilità dell’infrastruttura di rete Internet stessa.

Il riscaldamento globale metterà a dura prova il mantenimento efficiente delle attuali tecnologie di rete: con l’innalzamento delle temperature saranno necessari nuovi sistemi di raffreddamento e, di conseguenza, ulteriori consumi energetici ed emissioni di CO2. Smottamenti, forti temporali, erosione salina e allagamenti potrebbero colpire duramente gli impianti esistenti, causando gravi danni e cedimenti strutturali. Dal momento che cablaggi e wireless potrebbero improvvisamente interrompere le trasmissioni, alcune aree si ritroverebbero isolate dal flusso delle informazioni e da tutti i servizi che si fondano sulla rete, anche quelli d’emergenza. Tuttavia, la cosa più grave potrebbe essere la perdita delle informazioni stesse.

Attività di calcolo come il Bitcoin mining richiedono un'enorme quantità di energia.

Attività di calcolo come il Bitcoin mining richiedono un'enorme quantità di energia. | Marko / Flickr

 
Recupero e consegna

L'esercizio immaginativo è molto utile per riuscire a prefigurare gli esiti di un futuro incerto, ma anche per rifondare il valore della scelta, piuttosto che accettare passivamente un amaro destino indesiderabile. Death Stranding (2019) è un’opera di speculative-fiction, ideata e sviluppata da Hideo Kojima, il celebre autore della saga videoludica Metal Gear Solid. Pur essendo un’opera dalla narrativa spiccatamente intimista, che tocca da vicino tematiche come la vita dopo la morte, l’accettazione della perdita e il desiderio di riscatto, il contesto generale in cui il mondo di gioco si sviluppa conduce il giocatore in una sorta di simulatore della catastrofe.

L’obiettivo è infatti quello di trasportare, come un rider, merci e informazioni da una stazione all’altra, per espandere una fantascientifica rete internet. Nelle lande desolate, un cataclisma climatico/ontologico rende impossibile la vita, e ciò che rimane dell’umanità sono piccole comunità di survivalisti, costrette a vivere in bunker. Il crollo dell’infrastruttura di rete chirale racconta bene le difficoltà che comporterebbe un eventuale collasso degli attuali server: la perdita dei dati digitali che contengono documenti e saperi fondamentali per l’umanità.

 


A fianco di una narrazione lineare, volutamente cinematografica e spettacolare, il gioco possiede anche una componente di lore, ovvero un racconto frammentato, celato e ricostruibile attraverso la raccolta di documenti e microchip che approfondiscono la sconfinata rete di temi, riflessioni filosofiche e riferimenti culturali alla base delle idee espresse. Complessità è la parola che ritorna, ancora una volta, nell’affrontare un’esperienza come Death Stranding. Se la realtà è un caleidoscopico puzzle da risolvere, allora si è chiamati a rimettere a posto i pezzi, ma anche a inventare nuove soluzioni a vecchi enigmi.

Death Stranding propone una visione dell’umanità accelerata e post-capitalista, e non si rifugia in posizioni nichiliste o millenariste. La rete chirale non dev’essere considerata il parto della mente di un tecnofobo. Anzi, la scoperta di questo nuovo materiale, il chiralium, proveniente dal mondo dei morti (o almeno così sembrerebbe), permette di accedere a tecnologie pensate per far scomparire la fame e soddisfare tutti i bisogni primari degli esseri umani, come le stampanti 3D per costruire infrastrutture e facilitare l’accesso alla produzione di materie prime, cibo e servizi medici. La logistica dei magazzini e le consegne, per quanto nel racconto di Death Stranding siano ancora prerogativa umana, si dirigono verso una piena automazione. Rimane da capire se bisognerà aspettare un vero great reset per prendere coscienza della fragilità del mondo, oppure se basterà il poco tempo che si ha ancora a disposizione per progettare un’azione di recupero efficace e consegnare ciò che sappiamo a chi verrà. 

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Globale - 2021
Pensiero
Pauldavid Ligorio

studia filosofia all'università di Torino, è ideatore e caporedattore di Cicles Magazine, un progetto di blogging collaborativo nato nel 2020.

Pubblicato:
09-02-2021
Ultima modifica:
07-02-2021
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